L’Italia rischia di perdere altri 150.000 ettari di suolo
Presentato oggi il rapporto 2022 del Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo (CRCS): immobiliare logistico e infrastrutture protagoniste del decennio di cementificazione
Comunicato stampa
La risorsa naturale più importante del nostro Paese, il suolo, continua ad essere ad alto rischio, minacciata da processi di degrado oltre che dal suo progressivo consumo ad opera di trasformazioni di natura urbanistica ed infrastrutturale. È la fotografia del rapporto 2022 del CRCS, curato dal DAStU (dipartimento di Architettura e Studi Urbani) del Politecnico di Milano, Legambiente e Istituto Nazionale di Urbanistica (INU). L’attuale edizione del rapporto restituisce anche gli esiti del progetto Soil4Life, un progetto durato quattro anni, di cui è stata capofila la Legambiente, e che ha visto la collaborazione di un ampio partenariato, che ha coinvolto tra gli altri, il Politecnico, le agenzie nazionali ISPRA e CREA e l’ente lombardo ERSAF, insieme all’organizzazione agricola CIA, in uno sforzo di divulgazione e soprattutto di formazione di agricoltori, amministratori pubblici, tecnici e operatori nelle materie che, a diverso titolo, si confrontano con le problematiche di conservazione e gestione della salute del suolo.
«Per poter pianificare il territorio in modo consapevole occorre che sia i decisori politici sia i tecnici e i professionisti acquisiscano competenze e strumenti conoscitivi e gestionali necessari a valutare i fenomeni in atto e gli impatti a medio e lungo termine delle scelte di sviluppo territoriale previste – dichiara Andrea Arcidiacono docente e coordinatore del team DAStU –. In questo senso è andato lo sforzo coordinato sviluppato in questi anni dal progetto Soil4life».
Dopo la fine dell’ondata speculativa sviluppatasi nei primi anni 2000, nell’ultimo decennio i trend di crescita delle superfici urbanizzate, analizzate a livello nazionale da ISPRA, non mostrano segni di riduzione: nel 2020 ad esempio sono stati consumati 5.175 ettari di suolo. Di questo passo, da qui al 2050, l’Italia rischia di perdere definitivamente, cedendole all’urbanizzazione, 150.000 ettari agricoli, per la metà nel nord del Paese: per avere un termine di confronto, si tratta di una superficie che potrebbe essere sufficiente a generare un terzo della produzione nazionale di mais.
L’osservato speciale di questa fase è il fenomeno della logistica, che consuma enormi quantità di aree da destinare a infrastrutture di mobilità e a nuove superfici produttive, con elevati livelli di occupazione e impermeabilizzazione del suolo. Un comparto industriale che sta conoscendo, in tutta Europa, una fase di crescita tumultuosa anche a causa della evoluzione dei comportamenti di acquisto da parte dei consumatori, sempre più propensi a utilizzare le piattaforme dell’e-commerce. È proprio alla logistica che il rapporto CRCS 2022 dedica uno specifico approfondimento, con affondi sulle aree del Nord Italia laddove si concentra oltre il 70% di questo comparto nella sua componente immobiliare, con una fortissima polarizzazione sulla ‘regione logistica’ che gravita su Milano, lungo le direttrici autostradali e ferroviarie di connessione con i valichi e i porti liguri e adriatici
Gli indicatori economici della logistica industriale evidenziano una crescente attrattività della domanda di aree da parte di vettori e investitori, anche speculativi. E, nonostante i dichiarati buoni propositi degli operatori, sempre più inclini a evidenziare la prestazione in chiave di sostenibilità delle superfici produttive, per le grandi piastre logistiche la scelta ricade quasi sempre su aree da urbanizzare ex novo, consumando terreni agricoli in posizioni molto periferiche rispetto ai poli di riferimento. Proprio la richiesta di elevate prestazioni tecnologiche e ambientali degli edifici adibiti a logistica determina infatti la rapida obsolescenza degli immobili esistenti, abbandonati o in via di dismissione, ma il riutilizzo di edifici o aree dismesse solo raramente si incrocia con gli investimenti degli operatori immobiliari, interessati a interventi di rapida realizzazione, secondo formati e localizzazioni che incontrino il massimo interesse da parte delle imprese interessate all’acquisto o all’affitto dei capannoni. I territori che si prestano alla trasformazione edilizia a servizio del settore logistico finiscono dunque per essere quelli ad uso agricolo (in Lombardia, il 79% delle aree trasformate sono terreni a seminativo o prato), amministrati da piccoli comuni (l’83% dei poli logistici, sempre in Lombardia, grava su comuni con meno di 10.000 abitanti), in ambiti rurali con buone connessioni ai corridoi infrastrutturali. Le infrastrutture prevalentemente investite dallo sviluppo dell’immobiliare logistico risultano le recenti arterie autostradali, come la BreBeMi e la TEEM, o la prevista Cremona-Mantova, che attraversano vasti territori a bassa densità insediativa connettendoli con i grandi poli, a partire da quello della cosiddetta Regione Logistica Milanese, che comprende l’intera Lombardia e le province di Novara e Piacenza, in cui il settore logistico impegna oltre 12 milioni di mq, considerando la sola superficie coperta.
«Nonostante la tensione alla sostenibilità, utile per accedere ai finanziamenti PNRR, il settore immobiliare logistico procede con dinamiche simili a quelli che hanno generato le bolle speculative del passato: la negoziazione al ribasso con amministrazioni locali piccole e vulnerabili serve a portare rapidamente a buon fine investimenti i cui costi reali non sono contabilizzati, perché vengono scaricati sul territorio, principalmente come costi del consumo di suolo – dichiara Massimiliano Innocenti di INU – mai come in questi anni pesa l’assenza di un livello di governo sovralocale, che assista i sindaci nel negoziato con operatori economici multinazionali e che stabilisca meccanismi e regole atte a orientare le scelte localizzative escludendo nuove perdite di suolo agricolo».
«Servono regole per arginare il consumo di suolo; in Italia le norme continuano ad essere insufficienti, ed altrettanto dicasi per le politiche e i piani: la proposta di legge nazionale è ancora ferma ai blocchi di partenza dopo un decennio di dibattiti parlamentari – dichiara Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente –. Anche in Europa manca ancora una direttiva comunitaria, per quanto tuttavia si sia messa in moto, nel solco del Green Deal lanciato dalla Commissione a guida Von Der Leyen, la nuova strategia tematica sul suolo che, salvo imprevisti legati ad una situazione geopolitica più che mai fluida, dovrebbe dare i natali, entro la scadenza di mandato, alla Direttiva Europea per la Salute del Suolo».